Gazzetta di Modena

Modena

Eortè, dieci anni di accoglienza tra emozioni e arte

Maria Vittoria Scaglioni
Eortè, dieci anni di accoglienza tra emozioni e arte

Famiglie, minori, donne: per tutti si cerca una soluzione Zanoli: «L’obiettivo è trovare un percorso nella socialità» 

08 agosto 2020
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Per i suoi dieci anni la cooperativa Eortè, parte del gruppo Confcooperative Modena, dà il via a un progetto che testimonia l’impegno sociale praticato assiduamente fino ad oggi: consiste nella pubblicazione di racconti, scritti da Michela De Biasio, basati sulle esperienze delle ospiti della Casa del Glicine, una struttura che accoglie donne in difficoltà.

Assieme ai racconti vengono pubblicate anche opere d’arte che li interpretano, raffiguranti le protagoniste, spesso madri, e i loro bambini. «Siamo una piccola realtà e così è anche l’iniziativa; questo fa capire che l’accoglienza è alla portata di tutti», spiega il direttore Roberto Zanoli, che raccontando la storia dell’associazione ci informa del legame che questa ha con Venite alla Festa, unione di famiglie del territorio di Carpi che, nel periodo della più nera crisi economica, decise di investire nell’attività sociale, e con l’Associazione delle Terre d’Argine.

«In particolare si cerca di dare opportunità di lavoro a quei ragazzi che vivono il percorso dell’affido all’interno delle nostre famiglie e nelle comunità che gestiamo - prosegue il direttore - l’obiettivo è garantire loro esperienza e sostegno lungo un percorso di formazione che favorisca l’ingresso nel mercato del lavoro, molto complesso soprattutto per chi ha una storia difficile. In questi anni tanti ragazzi sono passati».

Fino a oggi la casa ha dato ospitalità a più di trenta nuclei familiari, in collaborazione con i servizi sociali. Eortè però si occupa anche del reinserimento di donne che vivono situazioni di emergenza, le quali vengono accolte nella Casa del Glicine, un complesso di appartamenti adibito a questo scopo: «Abbiamo investito in due appartamenti, arriviamo fino a cinque mamme. La media è intorno a cinque o sei gruppi famigliari in un anno».

Sulla struttura e il metodo di lavoro il direttore ci spiega che «vi è un’educatrice all’interno della struttura, la quale è seguita da un nucleo educativo-pedagogico che fa capo alla cooperativa, la quale ha il ruolo di supervisore. L’educatrice è presente alcune ore della giornata, non sempre, perché l’obiettivo è che le donne si sentano in un luogo che le provi all’autonomia definitiva. Sono loro a dover fare esperienza e sono loro a dover diventare in grado di gestire la quotidianità e, in alcuni casi, i loro figli. Abbiamo intuito la necessità di questo servizio sul territorio, un servizio che mira a restituire autonomia alle nostre ospiti. Si vive in comunità, ma gli spazi sono indipendenti e ognuna ha l’opportunità di crescere seguendo un tracciato personale».

A proposito della singolarità di ogni storia, ricordiamo che non tutte hanno un andamento lineare, si parla di vite complicate, e a volte è difficile arrivare a un lieto fine. «Possono esserci delle ricadute: la stragrande maggioranza hanno storie di maltrattamento vissute all’interno del nucleo famigliare, e non è facile uscirne. Altre ancora non hanno un’elevata istruzione, per cui cerchiamo di supplire anche a questo».

Anche un non educatore può dare il proprio supporto: «È importante il supporto dei volontari, ad esempio per i trasporti, la gestione del dopo scuola per i bambini, le pratiche burocratiche. Le risorse umane contano quanto l’aspetto economico, e di più».

Tornando sull’accoglienza alla portata di tutti, è anche vero che le donne protagoniste di queste storie possiamo essere noi, o le nostre amiche, le nostre vicine di casa. Sono fatti che si verificano più vicino e più frequentemente di quanto si immagini: «Famiglie e persone possono favorire l’accoglienza come modo di essere nella comunità e nella vita di tutti i giorni. Basta essere attenti e prendersi cura degli altri», conclude Zanoli. —