Il 2024 è un anno molto importante, anno che ha visto la partenza vera e propria di un progetto grande nel quale noi di Eortè crediamo molto.
“Questi primi mesi stanno andando molto bene - ci conferma lo chef Rino Duca, coordinatore del laboratorio - il gruppo è ben amalgamato e compatto, pur mantenendo le specificità e le motivazioni di ognuno; c’è chi tira di più, c’è chi tira di meno eppure siamo riusciti a costruire un buon equilibrio ed un’identità di squadra nella quale ognuno riesce ad identificarsi con un ruolo preciso”.
“In questo periodo mi sto interrogando molto sul motivo che mi ha spinto a mettermi a disposizione del laboratorio - dice Rino - e ora credo che sia la voglia ed il piacere a lavorare con i ‘miei ragazzi’… io li percepisco così. Questa attitudine è sicuramente figlia del mio passato: a Palermo vivevo nei quartieri popolari e lì sono entrato in contatto, sia visivamente che emotivamente, con strati sociali molto difficili, anche con delinquenza, ignoranza e povertà. E’ come se io avessi avuto una sorta di imprinting con queste realtà e oggi mi ritrovo con una discreta dimestichezza. E’ difficile da spiegare, è come se respirassi una sorta di familiarità, come se questo elemento fosse sempre presente”. Il passato ci forgia e lascia il suo stampo indelebile nel nell’approccio alle situazioni, alle persone… “Non mi sento a disagio all’interno del carcere - continua Rino - anche se la percezione del disagio è lampante insieme a quella della sfiducia, ma volte è sufficiente solo la propria presenza e l’astenersi da un giudizio per stabilire un bel contatto con l’altra persona”.
Rino Duca è così risuscito ad unire la propensione a dare strumenti e competenze che derivano dalla sua conoscenza della materia gastronomica con l’aspetto educativo che per tanti anni, anni fa, l’ha visto nelle vesti di educatore.
“Che impressione ho dei corsisti è una domanda molto complessa - continua Rino - la mia impressione è veicolata da fattori di umanità e fragilità, è fatta di timori e speranze ma anche, a volte, di rassegnazione. Queste sensazioni ti stringono il cuore e, sommate all’esperienza di entrare in un ambiente invalicabile come quello del carcere, ti costringono ad interfacciarti con una declinazione di umanità abbastanza complessa. Le relazioni interpersonali non sono semplici da costruire, bisogna trovare il giusto canale di comunicazione e poi vivi la sensazione dell‘acqua che sgorga, e questo per me è impagabile”.
Il laboratorio dà una concreta opportunità formativa ma, nel tempo presente, crea anche uno spazio di dialogo e di ascolto in cui i corsisti possono confrontarsi e raccontarsi. “Durante la chiusura di un tortellino o la stesura di un grissino - conclude Rino - affiorano le storie personali di ognuno, storie che vengono da paesi lontani, paesi molto poveri, ma anche dall’Italia. Così si parla di difficoltà e vissuti difficili, emergono i rimpianti e i tormenti di persone che hanno sbagliato e il pensiero va anche alle famiglie che sono costrette a vivere con l’assenza. Ecco, quello che affiora più spesso è la colpa ed è un qualcosa che si fa fatica a maneggiare perché non hai le risposte e l’unica cosa che puoi fare è entrare in empatia con chi hai davanti e ascoltarlo”.